La banalità del male

Giusto qualche giorno fa ho trascinato un mio amico in una discussione etica di qualche oretta, usando senza ritegno il metodo socratico della maieutica per mettere a nudo la sua opinione e infine giungere al mio pensiero – doveva essere un dibattuto sulla pena di morte, ma ho usato l’occasione per trarne una prefazione propedeutica all’argomento.
Però, a differenza di Socrate, non gli ho distrutto le ipotesi, anzi: il suo è un pensiero rispettabilissimo. Non picchio i miei amici.
Dunque, il dilemma è: esistono persone buone o cattive?

Iniziamo dal male, per aspera ad astra, no?
Quando noi possiamo considerare un essere umano propriamente e invariabilmente malevolo? Il mio giovane amico ha affermato che una tale definizione corrisponderebbe ad un essere il cui fine, il cui desiderio sarebbe nuocere direttamente al prossimo, e che da ciò trarrebbe piacere. Perciò, ho detto io, un evasore fiscale, un ladro o un rapinatore non hanno un’anima malevola poiché sono mossi da un altro desiderio, ovvero il bene per se stessi: l’evasore non paga le tasse per i propri interessi finanziari – ma non danneggia direttamente nessuno fuorché lo stato; il ladro ruba agli altri – e quindi reca loro un danno – ma agisce o per avida brama di possessioni materiali o per soddisfare un bisogno mancante, come il povero; il rapinatore sequestra persone per un riscatto, dunque per i soldi.
Quindi queste persone non sono propriamente «cattive», ma in un determinato periodo della propria esistenza commettono in maggior parte o rilevanza azioni «cattive», e seguono il loro desiderio arrivando a limitare la libertà altrui. Ma puntiamo ancora più in alto: cosa dovremmo dire invece di coloro che si sono macchiati di omicidio?
I moventi possono essere molteplici: uno è la vendetta, un tipico sentimento umano che nasce come conseguenza ad un atto di ribellione. Perché l’umano ricorda: ti cercherà, ti troverà e ti ucciderà… scherzi apparte, la vendetta nasce come volontà di rimarginare una ferita con la violenza, col sangue. Trae sì piacere e soddisfazione dal dolore altrui, ma si fonda su una morale superiore, astratta, quella della vendetta, appunto.
Per un motivo assai simile agiscono i terroristi religiosi, che mirano a un fine più importante, divino, tanto da eliminare le vite di esseri terrestri; oppure i terroristi politici, che credono nella loro causa. Ora, con questa digressione non intendo giustificare le iniquità degli esseri umani, bensì dimostrare che nessun essere umano è propriamente buono o cattivo.

Il mio amico mi interrompe accennando agli egoisti, definendo essi come puramente cattivi. Ma a lui io rispondo: gli egoisti, come gli altri criminali, seguono il bene per sé stessi, non il male per gli altri: sebbene danneggino il prossimo con le loro azioni, gli egoisti certamente eviterebbero se la cosa non portasse loro alcun vantaggio, dico bene?

Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca naturalizzata statunitense.

A tal punto mi viene in mente di fare un’altra considerazione, relativa al titolo dell’articolo: ovvero la banalità del male.
Chi è studiato in filosofia saprà bene il nome di Hannah Arendt, la filosofa… ahem, volevo dire politologa che partecipò al processo del temibile Eichmann a Gerusalemme e ne trasse un saggio comunemente chiamato “La banalità del male”: tralasciando i lati politici della vicenda e la delusione giuridica di Arendt, la scrittrice evidenzia come gli esseri umani (prendendo a esempio i nazisti) arrivino a compiere genocidi di massa «per ordine superiore», senza nemmeno rendersi conto della gravità delle proprie azioni.
Infatti Eichmann, il condannato, non era affatto un essere anormale o violento, né convintamente nazista: era semplicemente privo di idee, di consapevolezza. Con ciò, Arendt vuole connotare quanto il male sia “banale”, quanto qualsiasi umano possa divenire uno dei peggiori criminali della storia.
Dopo questa bella riflessione sulla banalità del male, torniamo a definire meglio quest’ultimo. Chiedo al ragazzo chi si possa davvero definire «cattivo nell’anima», e la sua risposta è “colui che desidera direttamente il male degli altri”.

Adolf Eichmann, militare e funzionario della Germania nazista, durante il processo a Gerusalemme, nel 1961.

Ma chi vuole direttamente il male degli altri, se da esso non trae profitto? Dovrebbe essere qualcuno che ottiene piacere direttamente dal dolore altrui e incapace di sentire rimorso e pentimento: ovvero gli esseri umani affetti dalla psicopatia, di cui una parte tende a divenire assassini seriali. Una parte, s’intende: non dico che tutti gli psicopatici siano assassini seriali o criminali. Dunque, solo alcuni di questi possono essere considerati «dall’animo malevolo», dico bene, mio giovane amico? Ciò significa che tutti gli altri esseri umani, e cioè la stragrande maggioranza, non possono essere propriamente cattivi. Mh, il discorso sta prendendo una piega sofistica.

Il mio giovine interlocutore annuisce, al che io sposto il centro dell’uragano sulla mia seconda argomentazione, ovverosia: gli esseri umani nascono buoni o cattivi?
Argomento dicendo che l’essere umano, quando viene alla luce, e quando inizia a crescere, non va certo in giro ad ammazzar esseri viventi (non riuscirebbe neanche fisicamente, tra l’altro), salvo rarissime… eccezioni.
Il neonato non è né buono né cattivo, è solo impulsivo, affettuoso ed emotivo: non comprende ancora il concetto – umano – di bene e male, bensì lo impara crescendo e confrontandosi con la società.
Dunque, l’essere umano non nasce né buono né cattivo, e perciò non possiede (metaforicamente) un’anima propriamente malevola né benevola, bensì assume un comportamento benefico o malefico maturando dall’esperienza.
Il mio amico concorda con la mia argomentazione, ma suggerisce di discutere su quali fattori influenzino il futuro comportamento del piccolo essere umano.
Secondo lui – testuali parole – «il bambino è influenzato al 90% dalla famiglia»: il mio amico ha ragione, ciò che viviamo in famiglia ci segna quasi a vita, essendo l’ambiente in cui cresciamo durante l’infanzia, età importantissima, difatti coloro che hanno particolari alterazioni nel nucleo familiare (e no, non mi riferisco alla omogenitorialità, chicché strillino i conservatori! Mi riferisco al clima e ai comportamenti negativi e nocivi dei genitori) potrebbero subire conseguenze protratte nel tempo, avere una autostima molto bassa, problemi a relazionarsi col prossimo e sviluppare più facilmente depressione. Non a tutti, ma succede.
Quindi siate sempre buoni genitori. Ricorda: tuo figlio è il tuo sostegno, come tu sei il suo. Puoi contare su di lui, o lei.
E niente schiaffi e sberle… non è affatto un buon metodo educativo.

Comunque, non sono i termini che volevo sentire dal mio amico, perciò insisto sul considerare due fattori: l’educazione e l’esperienza. La famiglia li contiene tutti e due, in parte. E poi c’è l’indole, che il mio amico suppone essere un altro importante fattore in grado di influenzare le azioni, benevoli o malevoli, del bambino: così ammette quasi una “predestinazione” al bene o al male, ed è proprio ciò che io sto cercando di smentire. Perciò dico: l’indole nell’infanzia non è qualcosa che influenza, bensì che viene influenzato, ovvero creato, per l’appunto dall’esperienza e dall’educazione! Certo, potrebbe esistere una parte dell’indole preesistente e distaccata da questi elementi, tuttavia la fetta più grossa deriva dalla vita vissuta.
E dunque, l’essere umano non nasce né benigno né maligno.

Siamo all’ultima tappa: dimostrare perché l’essere umano non può nemmeno avere un animo «perfettamente e ineluttabilmente benevolo». Sono esistiti, nella storia dell’umanità, esempi di grande magnanimità e bontà, e non bisogna essere un martire per essere considerato benevolo.
Tuttavia, è anche vero che… nessun essere umano è perfetto, e così, nessuna loro creazione. Noi umani siamo il seme dell’imperfezione, ma d’altronde, non credo avremmo le emozioni, senza le imperfezioni.
Anche l’umano più savio può crollare negli abissi più reconditi.
Per quanto ci sforziamo, non saremo mai perfettamente né l’uno né l’altro: l’umanità è duale, e così ogni essere umano, nessuno è propriamente né inesorabilmente benigno o maligno.
Siamo solo… umani.

Pubblicato da Nathan

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